mercoledì 5 giugno 2019

Noa, che ha deciso di morire.

Come al solito, in Italia, la questione diventa "morale" e "culturale" e viene inquadrata in un contesto "collettivo", come se il singolo non avesse il diritto di decidere per sé, trattato come un incapace e minorato.

Noa, che ha deciso di morire, sarebbe stata obbligata a curarsi.

A Noa, che ha deciso di morire, sarebbero state inflitte altre sofferenze, perché analogamente in quanto postulato in Comma 22, «Chi è depresso può chiedere l'eutanasia, ma chi chiede l'eutanasia non è depresso.».

Noa, che ha deciso di morire, non avrebbe dovuto avere la possibilità di scegliere il suo destino, perché secondo i soliti esperti da salotto, la sua scelta è stata viziata "da una prospettiva disperata" e condizionate "dal disturbo e dalla sofferenza".

Noa, che ha deciso di morire, avrebbe dovuto vivere perché qualcun altro non è in grado di capire e valutare la sofferenza che provava, e pretende di minimizzare le motivazioni che l'hanno portata ad una decisione senza ritorno.

Forse, nella mente di tanti commentatori, la soluzione è nel suicidio, magari compiuto in modo eclatante. Forse il problema è tutto qui, nell'incapacità di accettare il fatto che qualcuno possa scegliere di morire, ad un certo punto.



Marco Cappato sostiene che in realtà l'eutanasia per Noa non sia mai stata autorizzata, e che la ragazza si sia suicidata non avendo intenzione di seguire il percorso terapeutico forzato che le era stato imposto.

Noa, che ha deciso di morire malgrado tutto, dovrebbe insegnarci qualcosa.

A tacere, innanzitutto.

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