giovedì 29 novembre 2018

Leaving Facebook

Vale la pena di continuare a "frequentare" Facebook?

Dopo anni di accessi quotidiani ininterrotti ho deciso di "staccare" la spina. Rimarrò fuori da Facebook per qualche mese, a scopo terapeutico. Non c'è un motivo particolare per farlo, se non la banale considerazione di quanto spazio e tempo quel sito si ruba ogni giorno. Tutto considerato il tempo passato su Facebook è fine a sé stesso: le persone che frequenti o che senti più o meno spesso hanno altri canali per interagire con te, molto più "sicuri", ed in ogni possono rappresentare, con il loro comportamento, un problema di privacy (soprattutto perché per essere certo di non condividere informazioni private con degli estranei dovresti controllare le loro impostazioni di privacy: scegliere di rendere visibili i nostri contenuti agli "amici degli amici" potrebbe essere proprio quello che non vogliamo fare!), mentre l'interazione con aziende, enti, personaggi noti è spesso inconcludente se non inutile.


Le aziende su Facebook

Mi è capitato più di una volta di dover comunicare qualcosa ad un'azienda: nel 2018 il processo di involuzione tecnologica è completo, siamo entrati in piena dittatura degli smartphone. Ma invece di utilizzare questa tecnologia in modo intelligente, automatizzando le procedure per segnalare problemi e guasti o richiedere informazioni, siamo tornati all'utilizzo più basico che si può immaginare: costringere le persone a chiamare un call center, spesso fisicamente collocato all'estero, a cui dover ripetere più volte le informazioni che l'azienda che volete contattare conosce meglio di voi (ad esempio i vostri dati anagrafici, il vostro codice cliente, il codice del contratto, il tipo di servizio che vi debbono erogare, la storia delle vostre precedenti segnalazioni, ecc.), e cercare di spiegare il motivo per cui li contattate. Tutto questo rigorosamente durante il VOSTRO orario di lavoro, per la gioia del datore di lavoro. Quasi mai una telefonata è risolutiva, tenetelo a mente. Ma contattare un'azienda tramite Facebook potrebbe farvi cadere in depressione.

Scoprirete infatti che quasi sempre chi risponde ai messaggi su Facebook non ha contatti con l'assistenza clienti, con il supporto tecnico o in generale con qualsiasi altro dipartimento all'interno dell'azienda che dovrebbe rappresentare. Nella maggior parte dei casi riceverete una risposta generica, la conferma che la vostra segnalazione è stata inoltrata al destinatario corretto, ma scordatevi di riuscire ad ottenere una risposta definitiva.

Sembra che sia impossibile, all'atto pratico, ottenere supporto tramite chat, email o qualsiasi altra forma di testo scritto. Qualsiasi informazione, anche quelle relative alle clausole di un contratto che prevede vincoli, limiti, tetti di spesa o altre formule da valutare in modo per lo meno consapevole, vengono fornite SOLO ed ESCLUSIVAMENTE durante una telefonata. Io mi chiedo se c'è veramente qualcuno che riesce ad effettuare una scelta ragionata ascoltando dei dati recitati in modo annoiato da un operatore di call center per cui rappresentate solo un fastidio da allontanare in fretta.

Dopo aver tentato la via di Facebook (ed aver scoperto che alcune aziende hanno in effetti dei servizi di chat che però non vengono elencati tra i sistemi per contattarle nelle pagine del loro sito, ma che si trovano abbastanza agevolmente cercandole su Google) sono passato alla posta elettronica certificata. Non che le cose siano migliorate tanto: la maggior parte delle risposte ricevute, invece di riportare le informazioni richieste, invita a chiamare (?!?) il call center o si limita a frasi generiche ed estremamente inutili. Solo dopo tre o quattro solleciti si riesce ad ottenere qualcosa, sempre che dall'altra parte il vostro interlocutore non decida improvvisamente di ignorarvi.


Gli "Standard della Community"

Quando avete creato il vostro profilo su Facebook avete accettato una serie di clausole che, in definitiva, rendono Facebook il padrone assoluto ed indiscutibile dei vostri dati (anche se apparentemente non è così). Non solo: avete anche accettato di sottostare agli "Standard della Community", una serie di regole inutili a cui vi dovete attenere per non rischiare di venire buttati fuori se qualcuno (a torto o a ragione, non importa) dovesse segnalare i vostri post o i vostri commenti. A prescindere da quello che avete scritto, in ogni caso, Facebook applica queste regole in modo aleatorio, per cui non cancellerà o vi risponderà che il commento non viola gli "Standard della Community" se un altro utente vi apostrofa con un "sei una me*da". Gli "Standard della Community" servono solo a giustificare una gestione superficiale e casuale delle controversie: esistono migliaia di pagine dai contenuti offensivi, violenti, denigratori che, malgrado qualsiasi segnalazione, rimangono visibili a tutti. Ci sono milioni di commenti che violano gli "Standard della Community" che nessuno cancellerà mai, per quanto siano stati segnalati. Questo perché chi controlla le segnalazioni non è mai di madrelingua, se non per le lingue più diffuse. Quindi i post ed i commenti scritti in italiano vengono controllati da una o più persone che conoscono l'italiano ma non lo usano quotidianamente. Insomma, un tizio senza nessuna esperienza reale con la lingua che parlate giudicherà le vostre segnalazioni, non avendo la minima idea di quello che sta leggendo, se non dal punto di vista letterale. Questo significa che le decisioni vengono prese in modo insensato, e che non avete la minima possibilità di spiegare il motivo per cui state segnalando qualcosa.

Vedere che Facebook, malgrado tutti i proclami in cui si dichiara attivamente all'opera per arginare il fenomeno del bullismo, permette il proliferare di commenti offensivi, rende l'esperienza piuttosto spiacevole. Il fatto che ci siano centinaia di milioni di utenti attivi rende sicuramente difficile il riuscire ad organizzare un supporto più attento, ma il problema è di chi fornisce il servizio, non di chi lo utilizza. Se Facebook non è in grado di gestire in modo intelligente questo aspetto, forse farebbe meglio a smettere di fingere di avere il controllo sui contenuti che vengono pubblicati.


Uno contro tutti

Il fenomeno dello "shitstorm" (letteralmente: "tempeste di merda") non nasce di sicuro con Facebook, ma su Facebook viene elevato a strumento ordinario, con cui associazioni di persone organizzate colpiscono pagine e profili che non sono di loro gradimento, con il solito repertorio di commenti offensivi. Facebook non fa nulla per contrastare le shitstorm, anche se sarebbero facili da intercettare: la maggior parte degli account utilizzati per questi attacchi, infatti, è di tipo "silente". Si tratta di account che sono stati abbandonati o persi, per svariati motivi, dai loro legittimi proprietari. Non hanno molti post pubblicati nella loro pagina, non hanno commenti o altre attività recenti in cronologia. Per di più i commenti che pubblicano durante la shitstorm sono tutti molto simili tra loro, generici, sgrammaticati, dalla sintassi ed ortografia incerte.


Uguali e più uguali

Uno dei problemi più grandi di Facebook è il suo essere estremamente ingannevole. Per iscriversi su Facebook è necessario solo un indirizzo di posta elettronica attivo: questo significa che tutte le altre informazioni che vengono visualizzate nel profilo degli utenti sono o possono essere false. Facebook è un mondo abitato da persone verosimili e non reali: l'identità non viene verificata, così come le capacità, le competenze e tutto quello che rende un nome una persona vera. Il problema della "certificazione" degli utenti è enorme: solo una piccola parte viene verificata, soprattutto persone "famose", società, organizzazioni non profit. La massa critica degli utenti è un enorme ammasso di persone qualsiasi, tra cui si muovono milioni di utenti fake, alcuni manovrati da persone che vogliono muoversi anonimamente, altri maneggiati da organizzazioni dagli scopi subdoli. Una piattaforma in cui non esiste alcun dato certo sugli utenti è una piattaforma senza un valore e senza un futuro.


La grande illusione

I segnali di una crisi imminente di Facebook ci sono tutti. Se Elon Musk decide di chiudere le pagine social delle sue società, anche altre aziende hanno messo in discussione l'utilità della loro presenza nei siti di social networking. La società inglese J.D. Wetherspoon, che gestisce una catena di pub, ha deciso nell'aprile scorso di abbandonare completamente i canali Facebook, Instagram e Twitter. Forti di circa 150.000 "followers", hanno deciso di puntare sul sito internet di loro proprietà, sull'app e sulla rivista stampata. Malgrado le reazioni contrarie di parte dei commentatori istituzionali, il titolo è salito in borsa e le motivazioni per la decisione non sembrano facilmente ignorabili:
- lo scandalo scaturito dall'affaire Cambridge Analytica, sulla gestione dei dati sensibili degli utenti iscritti a Facebook;
- la capacità di indurre dipendenza;
- l'assenza di effetti negativi sul business cancellando gli account;
- lo scarso controllo sul contesto in cui vengono posizionati i messaggi pubblicitari, che possono apparire accanto a contenuti poco appropriati.

Per quanto possa apparire una decisione in controtendenza e forse contraria alla logica, quella di Wetherspoon è invece basata su dati reali, che confermano la sostanziale inutilità della presenza su Facebook. Per una catena che serve circa 34 milioni di clienti UNICI in un anno, avere una pagina con 100.000 follower è solo uno spreco di tempo. Se i post non vengono condivisi, commentati, e i follower non raggiungono numeri importanti, avere una pagina su Facebook è inutile. Coinvolgere i clienti abituali e cercare di raggiungere quelli potenziali richiede degli investimenti che non si giustificano in alcun modo. Viviamo in un mondo in cui un articolo su un giornale qualsiasi o un passaggio in televisione valgono migliaia di post su Facebook, per fortuna. Lasciare Facebook non significa ovviamente abbandonare il mondo digitale: l'app di Wetherspoon è stata scaricata 3 milioni di volte, ed ha un'utilità pratica perché permette di effettuare l'ordinazione direttamente dal tavolo, senza la necessità di rivolgersi al banco. Ovviamente dalla pagina Facebook questo non era possibile. Wetherspoon ha capito una cosa, che è evidente a chiunque frequenti Facebook da qualche tempo: la gente non condivide e non parla di aziende, marchi, prodotti. Gli utenti di Facebook pubblicano fotografie di gattini, video buffi, si scambiano gli auguri per i compleanni, condividono le fotografie delle vacanze, danno sfogo alla loro presunta vena poetica, si gettano a capofitto in estemporanee discussioni politiche.
Le aziende sono fuori da tutto questo. Hanno qualche motivo di esistere le pagine personali di attori, calciatori, giornalisti e politici, persone in carne ed ossa. Pagine su cui si pubblicano contenuti fintamente o realmente confidenziali, riflessioni più o meno spontanee, chiacchiere informali. Tutta roba che per un'azienda ha un valore prossimo allo zero.
Il rapporto tra aziende e social network, quindi, non è molto dissimile da quello tra aziende e televisione, con la non trascurabile differenza che nel secondo caso il messaggio arriva in modo attivo a tutte le persone sintonizzate sul canale, senza distinzione, mentre nel primo caso sono le persone stesse a doverlo cercare e condividere. Se nel caso della televisione l'azienda riesce ad entrare nelle case degli spettatori in modo semplice, nel caso dei social network ha bisogno di un invito esplicito a farlo, anzi, ha bisogno che sia lo spettatore a farsi carico di portare in casa sua il messaggio pubblicitario, diffondendolo poi tra i suoi amici. Facebook è sostanzialmente una piattaforma in cui le persone parlano di loro stesse, dei loro cari, dei loro amici. Le aziende sono fuori dal giro e malgrado qualsiasi sforzo possano fare, non riusciranno mai a sedersi allo stesso tavolo degli utenti.


I limiti e i pregi di un progetto nato per caso

Lo spostamento dell'età media degli utenti di Facebook verso la fascia superiore ai 35 anni è un primo segnale di declino. Gli scandali scoppiati sulle modalità di gestione dei dati sensibili degli utenti non hanno di certo migliorato la situazione, e malgrado Facebook rimanga il sito di social network più utilizzato, è difficile prevedere un futuro di successi. Le persone rimangono invischiate in Facebook per mille motivi, ma ben presto la sensazione più intensa diventa quella di stare perdendo tempo. La soddisfazione di interagire con persone sconosciute viene ben presto rovinata dalla consapevolezza che Facebook è essenzialmente un terreno di incontro/scontro in cui non ci sono arbitri né legge, per cui è facilissimo incontrare l'utente o il bot che con un commento offensivo ti rovinano la giornata. La scusa di volersi tenere in contatto con amici e parenti è debole: esistono altri strumenti molto più efficaci e sicuri, dal punto di vista della privacy, come ad esempio i gruppi su Whatsapp. Per altro utilizzare la messaggistica di Facebook al posto di quella di Whatsapp è un controsenso. Molti utenti di Facebook non abbandonano la piattaforma perché questa permette, salvando le informazioni sui suoi server, di conservare i ricordi: funzionalità che per quanto secondaria, ha assunto un valore sempre più importante, tranne che per chi condivide gattini e tramonti. Un altro punto di forza di Facebook (anche se basato su una sua enorme debolezza) è il fatto di essere stato individuato come punto di accesso anche da altri siti/servizi, attraverso il social login. Accedere ad un sito esterno a Facebook, che richiederebbe l'iscrizione ad hoc, utilizzando le credenziali di Facebook è un vantaggio per tantissimi utenti. Per tante persone Facebook è entrato nella routine quotidiana, come una volta poteva essere il tempo dedicato a leggere la posta tradizionale o fare qualche telefonata ad amici e parenti. Facebook è diventato analogo al bar in cui si passa la sera, a salutare gli amici e fare due chiacchiere, prima di rientrare a casa. Con il vantaggio/svantaggio di avere il bar in tasca, 24 ore al giorno. Uno dei limiti di Facebook, poi, è dato dalle modalità in cui vengono gestite la privacy e la sicurezza: malgrado sia possibile inserire i propri contatti in cerchie con sempre minore accesso alle proprie informazioni, all'atto pratico questa cosa è macchinosa, tanto che sono in pochi a sfruttare le opzioni di privacy in maniera così puntuale. Del resto anche Facebook ha contribuito a modificare l'atteggiamento dei suoi iscritti, dando nel tempo più importanza alle aziende salvo poi fare marcia indietro per riportare al centro dell'esperienza le persone. Il tutto ha portato a diverse modifiche nell'algoritmo che viene utilizzato da Facebook per popolare la pagina personale degli utenti, premiando i post con più interazioni. Il fatto che sia Facebook a decidere quali contenuti far vedere agli utenti, però, ha diversi effetti collaterali negativi, tra cui una certa insofferenza per il fatto di vedere o non vedere i contenuti desiderati, anche perché le modalità con cui modificare il comportamento dell'algoritmo non sono né immediate da utilizzare né di facile comprensione. Purtroppo Facebook è anche percepito ed utilizzato come un aggregatore di notizie, ma le notizie che vengono condivise non sono certificate né verificate. Questo fa di Facebook il più grande sito di diffusione di bufale e fake news, senza che nessuno faccia niente per cercare di mettere un freno al fenomeno.


Migliaia di informazioni inutili

Nel migliore dei casi, quindi, Facebook serve a diffondere in modo virale fotografie di gattini. L'altro lato della medaglia è che alla stessa stregua delle fotografie di gattini, le notizie che vengono condivise non sono verificate in nessun modo. Chiunque può pubblicare qualsiasi cosa, che si tratti di una notizia proveniente da una fonte certa o di un fatto totalmente inventato. La mancanza di un meccanismo di classificazione degli utenti e delle fonti che certifichi per lo meno l'attendibilità di chi pubblica una notizia rende Facebook un grande immondezzaio, in cui tutti possono gettare alla rinfusa qualsiasi rifiuto. Questo comporta un sostanziale appiattimento sia della qualità intrinseca delle notizie che della capacità del sito di informare in modo adeguato. Mettere sullo stesso piano un sito istituzionale o professionale e le migliaia di siti che generano notizie per attirare click e visualizzazioni della pubblicità a pagamento non porterà a niente di buono. Anche se alcune persone sono in grado di distinguere tra le diverse fonti, è stato più volte provato che ne esistono altrettanti, se non di più, che si lasciano ingannare da un titolo fuorviante, che non leggono i post fino in fondo e che, in ogni caso, non sono in grado di comprenderne il significato nella sua totalità. Dal punto di vista commerciale è difficile capire appieno la reale capacità di Facebook di attrarre, catalizzare, fidelizzare nuovi follower che diventeranno poi clienti. La natura stessa di Facebook, abbastanza mutevole anche se non in modo così evidente nel breve periodo, genera una serie di anomalie più o meno grandi: le pagine a cui abbiamo messo un "Mi piace" o che seguiamo possono cambiare completamente senza che ce ne rendiamo conto, facendoci diventare follower di un esponente politico anche se avevamo deciso di seguire una pagina di ricette tipiche della Basilicata. Questo perché una pagina può cambiare in modo radicale senza perdere i suoi follower, il che è abbastanza sintomatico del modo in cui Facebook gestisce e tiene in considerazione i nostri dati. Lo stesso capita per i gruppi, nei quali possiamo essere inseriti dai nostri amici senza il nostro consenso: la notifica non serve infatti a confermare l'iscrizione al gruppo, ma a decidere di uscire dopo essere stati aggiunti. Anche questo comportamento tradisce la superficialità con cui Facebook gestisce attività che invece dovrebbero essere sotto il nostro completo controllo.


Il social network che non impara

In sintesi, questa affermazione riepiloga bene la situazione. Nel tempo sono stati sviluppati per gli utenti una serie di strumenti che in teoria dovrebbero "educare" l'algoritmo che decide cosa far comparire nella nosta pagina, per evitare l'apparizione di contenuti indesiderati o fastidiosi. Peccato per due dettagli: l'algoritmo viene modificato, non tutti i giorni ma abbastanza spesso da rendere necessaria una revisione delle regole, dei mi piace e delle pagine seguite per evitare di ritrovarsi nello stream personale materiale che non ci interessa, e per il fatto che Facebook non impara. Malgrado le segnalazioni degli utenti e le critiche che provengono dai diretti interessati, ovvero da chi viene colpito da pagine offensive o denigratorie, Facebook continua ad ospitare pagine e gruppi razzisti, violenti, post di notizie false, affermazioni assurde spacciate per vere, e disinformazione diffusa per scopi ben precisi. Questo significa, al di là degli aspetti morali e legali della questione, che esistono utenti che vengono bombardati di notizie false, tendenziose e faziose, perché se da una parte è vero che si possono bloccare le fonti di notizie che non piacciono, è anche vero che il sito non ci aiuta minimamente a distinguere tra fonti buone o certificate e fonti cattive.


Il futuro

Ovviamente nessuno può sapere cosa ci riserva il futuro. La speranza è che, seppur lentamente, possa aumentare la consapevolezza degli utenti riguardo le fonti, in modo da isolare ed abbandonare quelle non certificate. Questo si può ottenere solamente aumentando la cultura media degli utenti di Facebook, impresa che può apparire improba soprattutto pensando che il social network non fa e non farà niente che agevolare questo processo. Il paradosso è che per mantenere un atteggiamento neutrale (concetto su cui si equivoca da sempre: la neutralità ha diverse sfumature, quasi mai una posizione neutrale lo è veramente, in quanto ad effetti, tra i contendenti. Non scegliere può essere un modo molto comodo di far prevalere una parte senza sbilanciarci pubblicamente nei suoi confronti) si finisce per danneggiare chi cerca di proporre un'informazione libera. Nel marasma di Facebook è più facile che sopravviva una fake news di una notizia vera.

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